«Stavamo comunicando con mezzi normali, ma lo stavamo facendo alla nostra maniera, schivando le normali forme di comunicazione che sono tipiche della cultura in cui siamo cresciuti – come la televisione commerciale e le Top 40. Quelle forme di comunicazione hanno a che fare con il consumo, e questo è molto opprimente. Noi non stavamo consumando, noi stavamo creando. E questa è una dichiarazione politica, in questa epoca».
Sono parole di Calvin Johnson, fondatore della K Records e degli storici Beat Happening, giusto per citare un paio di nomi. Parto da qui, perché oggi pomeriggio ho riascoltato gli Halo Benders (il fantastico side-project che Johnson portò avanti insieme a Doug Martsch dei Built to Spill nella seconda metà dei Novanta) e mi è capitato di scoprire una loro cover del 1994 di “Please, Please, Please, Let Me Get What I Want” degli Smiths. Non l’avevo mai sentita, non ne sapevo nulla e mi ha del tutto spiazzato. Una versione ruvida, scarna e sporca come gli Smiths non sono mai stati, distante dall’originale quanto Olympia da Manchester, ma in fondo sincera, autentica e potente quanto l’originale.
Quello che forse dimentichiamo è che anche ciò che oggi chiamiamo indiepop nasce come rottura e reazione, pur restando tutto all’interno dell’etica Do It Yourself. Reazione al conformismo che aveva affievolito una certa spinta iniziale punk, reazione al gretto machismo che da sempre incombe su gran parte della scena musicale (stampa compresa), reazione alla meschinità del capitalismo capace di narcotizzare ogni spinta artistica. A proposito di quest’ultimo aspetto, Geoff Travis, fondatore della Rough Trade, ha sintetizzato con molta franchezza lo spirito con cui si è ritrovato a lavorare nella musica: «La nostra motivazione è stata davvero quella di prendere il controllo del nostro destino creando i nostri dischi. Si trattava di non essere interessati a far parte del sistema esistente, ma di continuare a creare la tua arte». La storia che racconta Richard King dentro “How Soon Is Now?”, un ricco saggio che percorre trent’anni di mercato indipendente britannico, è anche la storia di una costante opposizione alle scelte più scontate, all’ipocrisia che ci viene imposta, alle prese di posizione più prevedibili e attese.
«È soltanto POLITICA: non come un traguardo lontano e irreale, ma come qualcosa di incapsulato nella vita di tutti i giorni. […] Puoi dire che sia idealismo, e quindi? È comunque un buon punto di partenza. Reggersi sulle proprie gambe (qualcosa di più difficile), CREARE, fare esattamente quello che sembra giusto… Tutto questo ha a che fare con… oh, diciamolo: soltanto cambiare il mondo», recitavano le note di copertina della compilation “Shadow Factory”.
Enzo Baruffaldi