Ricordi. I bei ricordi. Di solito riguardano un singolo raro momento di gioia. Uno solo, che ha pure vita breve. Nel corso degli anni ho imparato perciò ad apprezzarli sempre di più e anche alle feste -quelle in casa con la birra a 90 centesimi al litro e con la musica sparata dalle casse del computer- ad un certo punto della serata mi piaceva sedermi in un angolo a osservare da lontano l’andamento della la festa. Qualche volta trovavo qualche anima affine e insieme contemplavamo la possibilità che quel ricordo potesse non svanire mai.

Poi ho iniziato anche a fare concerti, prima da solo poi con la band e poi con un’etichetta, Dischi Sotterranei. Mi sento di dire “abbiamo” fatto molti concerti insieme, il concerto è qualcosa che coinvolge tutti quelli che lavorano insieme al nome sulla locandina. Inoltre è uno di quei momenti perfetti in cui si possono creare le condizioni migliori per un bel ricordo come si deve. C’è amore per quello che si sta facendo sia sopra che sotto al palco perchè ci si ritrova lì con un unico scopo per un unico motivo: creare qualcosa di memorabile.

Ogni volta che faccio un concerto mi scopro a cercare un angolo remoto del locale per osservare quello che sta accadendo e un giorno ho realizzato che quello che stavo vedendo era un frame del lungo film che è la scena musicale italiana indipendente, che da tempo guardavo con attenzione. Rendermi conto di essere parte pure nel mio piccolo di tale scena è stata una rivelazione molto importante e giustamente, mi ricordo ancora quando è avvenuta.

Era l’8 luglio 2017, Sherwood Festival. Aspettavo quella data con ansia misto gioia, ma sicuramente più ansia. Cazzo, il mio nome figurava sotto quello dei Baustelle. Guardando i post provavo un come una soluzione chimica di orgoglio, paura, ansia da prestazione e sindrome dell’impostore. Il mio disco era uscito da pochi mesi e ora mi trovavo lìcon alcuni tra i migliori e raffinati autori e autrici della scena italiana. Lo spettro dell’inadeguatezza non poteva essere più grande e dissimulavo il peso di dover portare le mie canzoni su un palco troppo grande con pochissima grazia e nonchalance. Ci siamo tutti: io, Roberto, Edoardo, Marco e Francesco, un po’ tesi e silenziosi, vestiti di nero, sotto il sole del primo pomeriggio. Si aggiungono anche Alberto, che da Dischi Sotterranei era venuto a sincerarsi che andasse tutto bene, Francesco e Alessio e dopo di loro arrivano anche altri musicisti e amici per partecipare a qualcosa che anche per loro pareva essere importante tanto quanto lo sembrava essere per me. “In bocca al lupo Pietro!”, “Vai vecchio!” e soprattutto Alberto che mi dice “Non preoccuparti Pietro, te la accordo io la chitarra prima che tu salga a suonare, tu sali sul palco e divertiti!”. Penso di non averlo mai ringraziato abbastanza per quel piccolo atto di gentilezza che è servito così tanto a scaricare la tensione del momento.

Ed è a quel punto che mi rendo conto che ci sono tutti, c’è la mia band, i Sotterranei, i miei amici, ci sono quasi tutte le altre band di Padova che conosco e che sono qui tutti proprio per fare il tifo alla serata, perché vada bene, perché poi si possa urlare insieme e sperare che quel ricordo possa non svanire mai. Mi calmo, so cosa sto facendo, sto facendo parte brevemente della scena, tutti noi siamo dentro a questa cosa, insieme, ed è incredibile. Il sole cala molto velocemente, “Pietro chiama la band che ci siamo!” mi dicono, vado in backstage ad avvertire tutti. Siamo pronti. Alberto ha finito di accordare le chitarre, mi da una pacca sulla spalla, salgo le scale, arrivo sul palco. Ho un cono di visione di 3° da quanto ci sto dentro, vedo i ragazzi salire sul palco, Roberto si siede alla batteria, Edoardo e Marco si mettono chitarra e basso in spalla e Francesco si piazza alle tastiere. Manco solo io, mi giro e vedo che tutti, ma proprio tutti, sono lì ad aspettare, felici, gasati, vogliono fare festa. Sono ad un concerto che hanno tutta l’intenzione di ricordare per molto tempo. Iniziamo a suonare, non aspettavano altro, io inizio a cantare e da sotto il palco sento che mi seguono a ruota, sanno le parole delle canzoni e le cantano con me, giro la testa e vedo Marco che sorride e, ‘annuendo’ col manico del basso, mi dice “Vai vai adesso però!”, in quell’attimo mi sono dovuto concentrare al massimo a non strozzare la voce  per l’emozione.

Ero lì, sul palco dei Baustelle e stavo suonando con i miei amici le mie canzoni, qualcuno le stava cantando insieme a me, qualcun altro le stava ascoltando per la prima volta. Meraviglioso.

Il concerto è finito, l’adrenalina ha iniziato a scendere e abbiamo scattato una foto.

Di Pietro Berselli.

Sottoterra